mercoledì 29 giugno 2011

La città di Bari perde 25milioni di euro per la riqualificazione delle periferie


Il Comune può dire definitivamente addio ai 50 miliardi di vecchie lire (25 milioni di euro) di finanziamenti regionali dei programmi di riqualificazione urbana. Il Consiglio di Stato ha infatti respinto l’appello proposto da palazzo di città contro la delibera regionale che negava i finanziamenti al capoluogo nell’ambito di una spartizione di oltre 220 miliardi di vecchie lire. Il riferimento alla vecchia moneta colloca la vicenda alla fine degli anni Novanta quando l’amministrazione comunale – all’epoca presieduta da Simeone Di Cagno Abbrescia – perse il treno dei finanziamenti regionali a causa di un pasticcio amministrativo. Anzi chiamarlo pasticcio è poco visto che i giudici amministrativi di primo e secondo grado hanno bocciato l’iter seguito dal Comune che andò in senso diametralmente opposto alle regole disciplinate per accedere ai finanziamenti. Atti «incompleti» o addirittura «carenti» dei requisiti minimi di presentabilità: e non è un caso che a negare il contributo fosse stata un’amministrazione regionale «amica», all’epoca presieduta da Raffaele Fitto.

Procediamo con ordine. I Pru erano intesi come un insieme sistematico di opere finalizzate alla realizzazione, manutenzione e ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie, edificazione di completamento e integrazione dei complessi urbanistici esistenti, inserimento di elementi di arredo urbano, manutenzione ordinaria, straordinaria, risanamento conservativo, restauro e ristrutturazione edilizia degli edifici. Per intenderci, interventi di costruzione e recupero edilizio realizzati dai Comuni e dagli Iacp; opere di urbanizzazione primaria e secondaria; elementi di arredo urbano.

In tale contesto il comune di Bari avrebbe dovuto presentare un progetto articolato su diversi territori, tra cui Japigia, Carbonara 2 (ora Santa Rita), Palese ed Enziteto. La proposta prevedeva interventi pubblici e privati secondo uno schema ben definito. Cosa fece Palazzo di città? Non solo aspettò l’ultimo giorno utile per convocare il consiglio comunale (il 27 aprile del 1999) tant’è che con una lettera partita in quella stessa data il sindaco informava che «alle 23 era in corso la seduta per deliberare...», ma confezionò – probabilmente a causa di un problema organizzativo – un prodotto dichiarato irricevibile dalla Regione.

L’amministrazione, all’epoca si affidò all’esperto di urbanistica, il prof. Paolo Stella Richter (la parcella fu di qualche centinaio di milioni di vecchie lire) nel tentativo di ottenere dal Tar l’annullamento del «no» della Regione. Ma i giudici di piazza Massari, con una sentenza a firma del presidente Gennaro Ferrari nel maggio del 2001, rigettarono il ricorso con un’articolata motivazione. I giudici si soffermarono in particolar modo sulla «carenza» dei progetti in ordine al coinvolgimento dei privati: «quest’ultimo – si legge nella sentenza - è stato, tra l’altro con un’evidente inversione logico e giuridica degli adempimenti, limitato alla mera previsione della percentuale di incidenza economico - finanziaria dell’intervento, senza alcun riferimento alla concreta tipologia dello stesso». Come dire, quattro numeri messi lì senza alcuna specifica. Ma non è tutto: quella che il Comune avrebbe dovuto approvare era un atto simile a quello dei piani urbanistici e non una proposta da «sottoporre poi all’attenzione dei privati». Insomma, sembrava che i tecnici comunali si fossero occupati di tutt’altra cosa.

A metterci il carico, adesso, sono stati i giudici della IV sezione del Consiglio di stato (presidente Giorgio Giaccardi, relatore Diego Sabatino) a cui aveva proposto appello il Comune nel tentativo di recuperare i 50 miliardi bloccando i finanziamenti di altri otto municipi regionali. Palazzo Spada, confermando la decisione di primo grado, ha sottolineato come «sia venuta a mancare l’essenziale contenuto decisionale della delibera, in quanto, stante il meccanismo procedurale adottato, che si articola in un complesso di dieci diverse fasi, il provvedimento del Comune di Bari ha semplicemente assunto la valenza di una proposta, di una ipotesi di progetto da sottoporre alla valutazione ed alle offerte dei privati…». Ma al danno va aggiunta anche la beffa: il Comune è stato condannato a pagare 9mila euro di spese di giudizio a favore (mille euro ciascuno) di Regione Puglia e dei comuni di Brindisi, Ruvo di Puglia, Bisceglie, Triggiano, Barletta, Alberobello, Cerignola e Gioia del Colle.

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