L'AQUILA - Le parole che fanno più male: «Un terremoto così in California non avrebbe provocato nemmeno un morto». Le pronuncia Franco Barberi, presidente della Commissione grandi rischi. Poco prima il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ha lanciato il suo allarme: «Qui sono cadute anche le case nuove». E allora Barberi passa all’attacco: «Se è vero che anche edifici che avrebbero dovuto essere costruiti in base alle normative antisismiche hanno subito danni irragionevoli — spiega —, allora si pone il problema del controllo della qualità delle costruzioni. In particolare per le strutture pubbliche e strategiche: ospedali, scuole, edifici del governo». E invece: l’ospedale, un presidio che non dovrebbe solo restare in piedi ma anche funzionare in emergenza, è stato evacuato e dichiarato inagibile. La Casa dello Studente, costruita a metà degli anni Sessanta è crollata. Come l’hotel «Duca degli Abruzzi», che non era in un palazzo di pietra antica ed è collassato, si è accartocciato su se stesso. O la chiesa di Tempera, a sette chilometri dall’Aquila, che era un edificio moderno. E i tanti palazzi dei quartieri periferici, case da edilizia popolare, non abitazioni vecchie di secoli: con i muri crepati, gli androni in marmo sventrati.
Insomma, a L’Aquila non sono crollate soltanto le vecchie case in pietra del centro storico: il terremoto ha distrutto o danneggiato in modo tale da renderli inabitabili anche palazzi moderni. Non è solo un problema dell’Aquila né dell’Abruzzo, che pure è zona ad elevato rischio sismico. Secondo le ultime stime, in Italia ci sarebbero almeno 75-80 mila edifici pubblici da consolidare: 22 mila edifici scolastici sono in zone sismiche, 16 mila in zone ad alto rischio. Circa 9 mila non sono costruiti con criteri antisismici moderni. Gian Michele Calvi, ordinario di Costruzione in zona sismica dell’Università di Pavia e presidente del Centro europeo di ricerca e formazione in ingegneria sismica: «Se non investiamo nella messa in sicurezza degli edifici, continueremo ad avere morti. È scandaloso». Il Consiglio nazionale degli architetti invoca un piano urgente di messa in sicurezza di ampie parti delle nostre città. Il presidente degli ingegneri, Paolo Stefanelli, spiega che «tutti gli edifici costruiti negli anni 50-60, a causa del tipo di cemento armato usato, sono a rischio sismico in un tempo che va dai 5 ai 30 anni. Lo abbiamo detto tante volte, inascoltati. A oggi manca ancora una norma che renda obbligatorio il monitoraggio sul tempo di vita delle costruzioni ».
Però manca davvero solo quella, perché di norme sull’edilizia antisismica l’Italia ne ha quattro, tutte contemporaneamente in vigore. Il decreto ministeriale 16 gennaio 1996, intitolato «Norme tecniche per le costruzioni in zona sismica» e seguito, dopo il terremoto del 2003 in Molise, dall’ordinanza della Protezione civile numero 3274, che ha rimappato e riqualificato il territorio nazionale, aggiungendo zone sismiche o elevandone la classe. E poi da altri due decreti, uno del 2005, l’ultimo del 2008, che si chiama «Nuove norme tecniche per le costruzioni in zona sismica». Leggi tecniche, moderne. Poi ci sono le costruzioni. I progetti, i materiali usati, le strutture. Nelle case in cemento armato degli anni Sessanta si usavano i tondini a barra liscia, oggi esistono quelli con barre ad aderenza migliorata, che legano meglio con il calcestruzzo. Chissà com’erano quelli della casa di via XX Settembre, nel centro dell’Aquila, che adesso è un mucchio di rovine alto due metri e mezzo.
Mario Porqueddu
Corriere della Sera, 07 aprile 2009
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