mercoledì 18 gennaio 2012

Comuni a "cemento zero"



I comuni a cemento zero (o crescita zero) sono una delle realtà più interessanti che animano il dibattito sulla città sostenibile, proponendo coraggiose alternative alle prassi attuali di gestione del territorio. La battaglia dei comuni a cemento zero si sposa perfettamente con la filosofia della sostenibilità, poiché implica concetti fondamentali quali la consapevolezza che vivere in un pianeta limitato con risorse limitate deve comportare un uso intelligente delle sue risorse. Si tratta di comuni virtuosi che, a partire dall’ormai celebre Cassinetta di Lugagnano (MI), hanno deciso di non occupare più un solo metro quadro di suolo agricolo con nuovo cemento, (per la precisione la scelta più comunemente adottata è quella di “congelare” le previsioni di espansione urbana dei piani precedenti) perché preoccupati della condizione allarmante del nostro territorio (nella sola Lombardia in media vengono coperti dal cemento 13 ettari al giorno e la provincia di Milano vanta il primato del 43% di suolo edificato).


In un’Italia in cui la pianificazione territoriale è pressoché assente, dove non vi sono regole a garanzia dell’interesse collettivo, ma prevalgono gli interessi dei pochi che dominano il mercato edilizio, il territorio viene letteralmente preso d’assalto dal cemento, rendendo il nostro Paese il fanalino di coda in Europa per la conservazione del suo patrimonio urbano, paesaggistico e rurale. Provando a sorvolare con Google Earth altre nazioni europee, il colpo d’occhio è impressionante: Svizzera, Germania, Francia, Austria (che così arretrati non sono) presentano un territorio ancora non sfigurato dalla peste cementifera i cui bubboni costellano invece il suolo italiano, ormai occupato militarmente dall’assedio del capannone e della palazzina residenziale.

Il paesaggio italiano (tutelato, non a caso, dall’art. 9 della Costituzione) sta scomparendo per lasciare il posto al villaggione continuo, all’alveare prodotto in serie, a residence, multisale, centri commerciali, outlet di cartapesta in stile assiro-padano e altri insulti alla civiltà.

Il fenomeno è davvero preoccupante, ma una strada per uscirne fuori c’è ed è quella che stanno percorrendo i comuni a cemento zero. Ciò che serve sono solo un po’ di volontà, tenacia e degli amministratori onesti che abbiano un po’ di spina dorsale (e di questi tempi è chiedere molto, me ne rendo conto). A Cassinetta di Lugagnano ha preso il via anche l’interessante proposta di una legge di iniziativa popolare.

Altri esempi di comuni a crescita zero (Solza, Pregnana Milanese, Ozzero, Ronco Briantino) confermano che è già possibile, soprattutto da un punto di vista economico, effettuare il passaggio da una cultura di espansione a una cultura di riqualificazione. Dire stop al consumo del territorio non significa dire stop all’edilizia. Significa che la priorità può e deve essere data alle operazioni di recupero e manutenzione delle volumetrie esistenti, e laddove troppo oneroso o impossibile, sugli interventi di demolizione e ricostruzione.
 
“Non si potrà mai realizzare, è troppo oneroso”, “Può funzionare solo nei paesini” sono infatti le classiche obiezioni al progetto cemento zero, e spesso sono sollevate proprio da coloro che nella cementificazione del territorio hanno svolto un ruolo attivo. Ma è forse un paesino Monaco di Baviera? Per quale ragione il modello tedesco non potrebbe trovare applicazione anche nelle nostre città? Oltre a non consumare territorio, queste strategie ridanno vita e aggregazione, perché recuperando l’esistente si ottengono due benefici in uno: è vero che vengono a mancare gli oneri di urbanizzazione, ma si riducono di pari passo le relative spese a carico dei comuni comprimendo nel frattempo i costi per i servizi offerti, essendo molto più raccolte le aree urbane.

Non è un caso infatti che la città compatta sia considerata dagli urbanisti più avveduti come il modello più funzionale e sostenibile di città, e che l’esplosione urbana (sprawl) delle nostre città divoratrici di territorio comporti solamente una lunga serie di svantaggi e problemi. Provate a chiedere a un qualsiasi cittadino di una qualsiasi porzione di mondo civilizzato se preferirebbe avere nella sua città altri metri cubi di cemento oppure un parco, o magari vedere finalmente ristrutturato l’asilo, la biblioteca, l’ospedale o la periferia degradata. I cittadini di Cassinetta di Lugagnano ne sono talmente convinti che hanno preferito autotassarsi piuttosto che avere altro cemento. Il bilancio comunale infatti è stato tenuto in piedi sia tramite finanziamenti presso banche locali che i cittadini hanno sostenuto accollandosi da soli una vera e propria tassa di scopo, sia riducendo sprechi, privilegi, inefficienze. Altro elemento da cui il comune trae notevoli guadagni è il business legato ai matrimoni: in paese ci sono splendide ville settecentesche sul Naviglio che vengono affittate per il ricevimento. Tutte queste iniziative non solo funzionano per le casse del comune, ma anche per i cittadini che altrimenti non avrebbero rieletto il loro sindaco con un plebiscito ben superiore (+12%) al consenso che gli avevano tributato alla prima elezione. Questo perché Cassinetta è ormai un’isola felice, un luogo che ha imparato ad essere attraente, dove la qualità della vita è diventata la parola d’ordine assieme al rispetto per la natura.

Ma altrove la volontà dei cittadini nove volte su dieci viene ignorata se non proprio calpestata, in favore delle più remunerative logiche speculative, perché il cemento non sarà bello, ma rende, eccome se rende.

Che alle leggi di mercato siano state messe le briglie della speculazione è evidente, altrimenti non si spiegherebbe perché nelle città italiane i prezzi raggiungano e oltrepassino la stratosfera. Che fine ha fatto la più elementare e indiscutibile legge dell’economia? Come è possibile che nonostante l'aumento enorme dell'offerta il prezzo delle case non diminuisca ma aumenti? Forse la domanda cresce a ritmi ancora più vertiginosi? La risposta è no, considerando che le stime più prudenti parlano di 2,5 milioni di alloggi vuoti, e che la nostra crescita demografica è la più bassa d’Europa. Eppure continuiamo a costruire alloggi e cementificare. Ci piace così.

Non sarebbe meraviglioso rompere le uova nel paniere al sistema dei costruttori senza scrupolo e degli amministratori compiacenti che hanno permesso (lucrandoci sopra) tutto questo? Diffondendo la cultura dei comuni a cemento zero questo sogno potrebbe diventare realtà.

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