Sessanta milioni di euro da dividere tra le tre imprese, oltre alla restituzione dei suoli. È la proposta di transazione avanzata dalla rappresentanza permanente italiana presso la Corte europea dei diritti dell'uomo per la vicenda di Punta Perotti. Un’iniziativa, quella di Palazzo Chigi, nata con ogni probabilità per evitare la sentenza di condanna a un maxirisarcimento da parte di Strasburgo: Mabar, Sud Fondi e Iema hanno infatti chiesto 300 milioni di danni.
«Non abbiamo ricevuto alcuna offerta, se e quando ci arriverà la valuteremo con i nostri avvocati», si limita a dire Beppe Matarrese. Non è una posizione tattica: la proposta è stata depositata solo a Strasburgo e non è stata discussa né con gli avvocati delle imprese né tantomeno con quelli del Comune che sta informalmente partecipando alle trattative sulla transazione. L’offerta è emersa soltanto perché l'8 aprile il ministero della Giustizia ha chiesto un parere alla Cassazione, al Consiglio di Stato e al Tribunale di Bari (in quanto giudice dell'esecuzione).
La risposta degli ermellini di piazza Cavour è arrivata in via Arenula il giorno 29, e sembra omettere un particolare importante. Nella missiva il primo presidente Ernesto Lupo evidenzia «l'impossibilità di esprimere parere»: «La valutazione richiesta presupporrebbe infatti la disponibilità di dati (quali l'estensione dei suoli e l'entità degli immobili confiscati, il loro stato presente, la situazione attuale e gli interessi coinvolti, la posizione assunta dalle predette società in merito agli sviluppi della vicenda, ecc.) dei quali questa Corte non è in possesso, e che non è in grado di acquisire, non competendo ad essa alcun apprezzamento in ordine alla destinazione dei beni confiscati, una volta che gli stessi, com'è accaduto nella specie, siano stati acquisiti al patrimonio indisponibile del Comune». In realtà, l'incidente di esecuzione proposto da Palazzo Chigi ha già portato alla restituzione dei suoli di Punta Perotti alle imprese: Lupo si ferma però alla sentenza di maggio 2010 con cui la Terza sezione ha rimesso gli atti al Tribunale di Bari.
La Cassazione, insomma, se ne lava le mani. Né potrebbe essere diversamente, visto che la titolarità a esprimersi su una proposta di transazione appartiene al Consiglio di Stato. Ma più che l'intreccio giuridico-amministrativo, ciò che conta è la strategia processuale di Palazzo Chigi. A Strasburgo infatti i tempi sono maturi per una decisione sul quantum della richiesta, e una eventuale sentenza di condanna potrebbe avere un impatto mediatico devastante. La rappresentanza permanente presso la Corte avrebbe dunque «suggerito» al governo di avanzare una proposta, così da sparigliare il campo e dimostrare di essersi attivato: e se i giudici di Strasburgo dovessero giudicare congrua l’offerta di 60 milioni, sarebbe un modo di limitare i danni rispetto ad una richiesta che ammonta a 5 volte tanto.
Il risarcimento, ma questo è ovvio, integra e non sostituisce la restituzione dei suoli. Suoli che sono sempre edificabili, seppure soltanto in linea teorica, e che restano ancora nella materiale disponibilità del Comune in quanto trasformati in Parco della legalità. Una norma voluta da Berlusconi (l’articolo 4, comma 4-ter della legge 102/2009) peraltro dice che i suoli da restituire vanno valutati al prezzo di mercato, in base alla destinazione attuale e senza tener conto del valore dei palazzi: serviva ad evitare che i Matarrese potessero pretendere i danni anche per gli immobili demoliti. La Corte di Strasburgo non è obbligata a tenerne conto, ma l’offerta di Palazzo Chigi ovviamente sì.
«Non abbiamo ricevuto alcuna offerta, se e quando ci arriverà la valuteremo con i nostri avvocati», si limita a dire Beppe Matarrese. Non è una posizione tattica: la proposta è stata depositata solo a Strasburgo e non è stata discussa né con gli avvocati delle imprese né tantomeno con quelli del Comune che sta informalmente partecipando alle trattative sulla transazione. L’offerta è emersa soltanto perché l'8 aprile il ministero della Giustizia ha chiesto un parere alla Cassazione, al Consiglio di Stato e al Tribunale di Bari (in quanto giudice dell'esecuzione).
La risposta degli ermellini di piazza Cavour è arrivata in via Arenula il giorno 29, e sembra omettere un particolare importante. Nella missiva il primo presidente Ernesto Lupo evidenzia «l'impossibilità di esprimere parere»: «La valutazione richiesta presupporrebbe infatti la disponibilità di dati (quali l'estensione dei suoli e l'entità degli immobili confiscati, il loro stato presente, la situazione attuale e gli interessi coinvolti, la posizione assunta dalle predette società in merito agli sviluppi della vicenda, ecc.) dei quali questa Corte non è in possesso, e che non è in grado di acquisire, non competendo ad essa alcun apprezzamento in ordine alla destinazione dei beni confiscati, una volta che gli stessi, com'è accaduto nella specie, siano stati acquisiti al patrimonio indisponibile del Comune». In realtà, l'incidente di esecuzione proposto da Palazzo Chigi ha già portato alla restituzione dei suoli di Punta Perotti alle imprese: Lupo si ferma però alla sentenza di maggio 2010 con cui la Terza sezione ha rimesso gli atti al Tribunale di Bari.
La Cassazione, insomma, se ne lava le mani. Né potrebbe essere diversamente, visto che la titolarità a esprimersi su una proposta di transazione appartiene al Consiglio di Stato. Ma più che l'intreccio giuridico-amministrativo, ciò che conta è la strategia processuale di Palazzo Chigi. A Strasburgo infatti i tempi sono maturi per una decisione sul quantum della richiesta, e una eventuale sentenza di condanna potrebbe avere un impatto mediatico devastante. La rappresentanza permanente presso la Corte avrebbe dunque «suggerito» al governo di avanzare una proposta, così da sparigliare il campo e dimostrare di essersi attivato: e se i giudici di Strasburgo dovessero giudicare congrua l’offerta di 60 milioni, sarebbe un modo di limitare i danni rispetto ad una richiesta che ammonta a 5 volte tanto.
Il risarcimento, ma questo è ovvio, integra e non sostituisce la restituzione dei suoli. Suoli che sono sempre edificabili, seppure soltanto in linea teorica, e che restano ancora nella materiale disponibilità del Comune in quanto trasformati in Parco della legalità. Una norma voluta da Berlusconi (l’articolo 4, comma 4-ter della legge 102/2009) peraltro dice che i suoli da restituire vanno valutati al prezzo di mercato, in base alla destinazione attuale e senza tener conto del valore dei palazzi: serviva ad evitare che i Matarrese potessero pretendere i danni anche per gli immobili demoliti. La Corte di Strasburgo non è obbligata a tenerne conto, ma l’offerta di Palazzo Chigi ovviamente sì.
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