foto Nunzio Loporcaro ©
Nel 1949, quando lo Stato lanciò il piano Ina-casa, l’obiettivo era nobile: Secondigliano, quartiere della periferia nord di Napoli, doveva essere la prima area di una grande città ad ospitare la costruzione di alloggi a carattere economico e popolare. Il progetto fu legittimato con la legge 167 del 1962 ed a Secondigliano (ma anche a Ponticelli, quartiere della periferia est della città) partì il piano di sviluppo urbano che avrebbe dovuto valorizzare le periferie degradate della città. Furono realizzate le sette Vele di Scampia, pensate dall’architetto Di Salvio e ultimate nel 1982. Nel 1987 sorse la Circoscrizione Scampia, con altre decine e decine di palazzi.
Oggi a Scampia vivono circa 50mila persone. Le Vele, urbanisticamente bocciate dai migliori esperti del settore, sono diventate dei ghetti, «feudo» di famiglie camorristiche che gestiscono il business delle sostanze stupefacenti. Oggi Scampia è Scampia anche a causa del degrado urbanistico in cui versa. Stesso discorso per altre zone popolari di Napoli, come Pazzigno e via Taverna del Ferro a San Giovanni a Teduccio, il rione De Gasperi a Ponticelli ed il Parco Verde a Caivano. Scampia e gli altri rioni degradati di Napoli sono, mediaticamente, il simbolo del degrado urbanistico e sociale di un’Italia che si è fermata. Ma la legge 167 del 1962 ha concesso finanziamenti a tante città italiane. E numerosi sono stati i «mostri», tipo Scampia, spuntati come funghi.
Restando in Puglia, a Lecce - nei pressi di viale dello Stadio - sono state realizzate due Vele tipo Scampia anche se un po’ più piccole. Sono abitazioni all’estrema periferia della città, fuori dal contesto urbano cittadino. Case abitate soprattutto da gente onesta ma alle prese con disagi di carattere economico e sociale. E nelle due 167 che spesso polizia e carabinieri arrestano spacciatori e tossicodipendenti. Palazzi spesso nel degrado ed alle prese con evidenti carenze strutturali. Il Comune di Lecce, però, ha già annunciato un progetto che prevede la riqualificazione dell’area. Anche in altre città italiane palazzi esteticamente «brutti» sono diventati dal punto di vista sociale dei veri e propri «ghetti». Esempi? Il quartiere Zen di Palermo, Enziteto a Bari, tutti i quartieri che costeggiano la Tuscolana a Roma, come per esempio il Quadraro, Tor Pignattara e Tor Bella Monaca. Ma le città del nord non sono immuni dal binomio «brutto-degrado». Basta andare nelle periferie di Milano e Torino per rendersi conto che il fenomeno non è solo meridionale.
Oggi a Scampia vivono circa 50mila persone. Le Vele, urbanisticamente bocciate dai migliori esperti del settore, sono diventate dei ghetti, «feudo» di famiglie camorristiche che gestiscono il business delle sostanze stupefacenti. Oggi Scampia è Scampia anche a causa del degrado urbanistico in cui versa. Stesso discorso per altre zone popolari di Napoli, come Pazzigno e via Taverna del Ferro a San Giovanni a Teduccio, il rione De Gasperi a Ponticelli ed il Parco Verde a Caivano. Scampia e gli altri rioni degradati di Napoli sono, mediaticamente, il simbolo del degrado urbanistico e sociale di un’Italia che si è fermata. Ma la legge 167 del 1962 ha concesso finanziamenti a tante città italiane. E numerosi sono stati i «mostri», tipo Scampia, spuntati come funghi.
Restando in Puglia, a Lecce - nei pressi di viale dello Stadio - sono state realizzate due Vele tipo Scampia anche se un po’ più piccole. Sono abitazioni all’estrema periferia della città, fuori dal contesto urbano cittadino. Case abitate soprattutto da gente onesta ma alle prese con disagi di carattere economico e sociale. E nelle due 167 che spesso polizia e carabinieri arrestano spacciatori e tossicodipendenti. Palazzi spesso nel degrado ed alle prese con evidenti carenze strutturali. Il Comune di Lecce, però, ha già annunciato un progetto che prevede la riqualificazione dell’area. Anche in altre città italiane palazzi esteticamente «brutti» sono diventati dal punto di vista sociale dei veri e propri «ghetti». Esempi? Il quartiere Zen di Palermo, Enziteto a Bari, tutti i quartieri che costeggiano la Tuscolana a Roma, come per esempio il Quadraro, Tor Pignattara e Tor Bella Monaca. Ma le città del nord non sono immuni dal binomio «brutto-degrado». Basta andare nelle periferie di Milano e Torino per rendersi conto che il fenomeno non è solo meridionale.
Salvatore Avitabile
Corriere del Mezzogiorno, 20 novembre 2009
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