Novecentotrentunomila metri quadri. Potrebbe essere la superficie di un centro abitato, o di una grande area boschiva. Invece è la grandezza dell’area, di cui una parte in concessione demaniale, sequestrata dalla Guardia di Finanza di Taranto all’interno del porto mercantile della città pugliese, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria. Il provvedimento reca la firma del procuratore della Repubblica, Franco Sebastio, e dal procuratore aggiunto, Pietro Argentino. Il motivo? In quest’area così ampia erano stati stoccati rifiuti speciali sia solidi sia liquidi, senza le dovute autorizzazioni, soprattutto senza le dovute precauzioni per la salute. Tre persone sono state denunciate.
Il provvedimento è stato emesso al termine d’indagini che hanno accertato lo stoccaggio di rifiuti speciali, anche di natura tossica, il carico e lo scarico di materie prime e prodotti finiti dell’industria metallurgica in violazione delle norme poste a tutela dell’ecosistema marino e terrestre. Anche i rifiuti sono stati sequestrati dalle Fiamme Gialle, assieme ai sistemi di canalizzazione presenti nell’area del porto. Questo perché si sta procedendo alla necessaria verifica, condotta attraverso l’esecuzione di prelievi di campioni, in collaborazione con i tecnici dell’Arpa Puglia, dell’impatto ambientale sui fondali marini adiacenti. Inoltre, sono in corso anche accertamenti di carattere fiscale. I militari della Finanza stanno operando insieme a unità aeree e navali.
All’esame dei magistrati ci sono i pontili del porto di Taranto. Con il rischio che fin troppe quantità di sostanze nocive siano finite in mare, nel porto mercantile. Non si tratta di pontili qualunque. Sono il secondo, terzo, quarto e quinto sporgente del porto, il che fa diventare il sequestro un fatto assolutamente clamoroso: sono i pontili utilizzati dall’ILVA di Taranto per lo sbarco delle materie prime e l’imbarco dei prodotti finiti. Il provvedimento giudiziario, si legge in comunicato reso noto dalla direzione dell’ILVA, contesta “l’assenza di un sistema per la raccolta ed il trattamento delle acque meteoriche oltre alla gestione non autorizzata di materiali di risulta presenti sui pontili. In questa fase di esclusivo accertamento dei fatti ipotizzati l’ILVA sta fornendo ampia collaborazione al personale della Guardia di Finanza per l’espletamento delle indagini di rito e per l’esecuzione del mandato di sequestro probatorio”. Infine, “l’Ilva confida, al fine di accertare l’assenza di responsabilità, in una rapida conclusione delle indagini”.
All’arrivo dei militari, la mattina del 3 novembre scorso, l’area era piena di rifiuti speciali che, a causa delle precipitazioni autunnali di questi giorni, finivano nei sistemi di canalizzazione delle acque reflue, che vanno in mare. Nonostante questo, l’unica autorizzazione mostrata dall’ILVA è stata quella per lo “scarico di acque reflue domestiche”. Come dire: acque di scolo della pasta dalle pentole ed acqua con detersivo dopo aver lavato i piatti, due tipici esempi di acque reflue domestiche. Peccato che invece si tratti di un’acciaieria, i cui scarti polverosi sono costituiti da metalli pesanti, pericolosi per inalazione e per ingestione.
Sono contestati anche altri reati, come si legge nella disposizione di sequestro probatorio con facoltà d’uso: danneggiamento e realizzazione di opere abusive, oltre ad una lunghissima serie di violazioni in materia ambientale. Secondo le accuse, l’ILVA avrebbe agito nel porto senza le necessarie autorizzazioni. Le tre persone denunciate sono il direttore dello stabilimento siderurgico, Luigi Capogrosso, il responsabile area “sbarco merci”, Giuseppe Manzulli, ed il responsabile dell’area logistica “prodotti finiti”, Antonio Colucci. A dare il via alle indagini è stato il sequestro di alcune bricche, proprio nell’area portuale, a febbraio del 2009. Da quell’operazione si sarebbe poi risaliti alla mancanza delle autorizzazioni da parte dell’ILVA.
Tutto questo va a colpire una città già disastrata dal punto di vista ambientale, in buona parte già vittima proprio dell’ILVA. Lo stesso porto di Taranto non è nuovo ad illeciti ambientali: appena poche settimane fa, cinque container carichi di rifiuti speciali (complessivamente 124 tonnellate tra pneumatici fuori uso, scarti in gomma e pezzi di plastica) diretti in Vietnam, sono stati sequestrati nel corso di controlli doganali. Esaminando la documentazione di viaggio, si è scoperta una falsa indicazione del codice identificativo della tipologia dei rifiuti e del trattamento di recupero previsto dalla legge: il carico risultava diretto in Corea, mentre l’effettiva destinazione era il Vietnam, in violazione agli accordi tra l’Unione Europea ed il Paese Asiatico.
Il tutto in una città che non detiene solo il primato nazionale per la diossina, ma anche per il mercurio. Infatti, come si rileva dall’Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti, Taranto vede una dispersione in atmosfera per la grande industria italiana del 49% del mercurio emesso in tutta l’Italia, ma il dato più grave è l’aumento continuo di mercurio, soprattutto quello che finisce nelle acque antistanti la città. Infatti il mercurio in acqua è passato dai 118 chili del 2002 ai 665 chili stimati nel il 2005. Ed anche il mercurio proviene dal grande impianto siderurgico: l’ILVA, a livello nazionale, emette il 62,5% di tutto il mercurio stimato per la grande industria.
Il provvedimento è stato emesso al termine d’indagini che hanno accertato lo stoccaggio di rifiuti speciali, anche di natura tossica, il carico e lo scarico di materie prime e prodotti finiti dell’industria metallurgica in violazione delle norme poste a tutela dell’ecosistema marino e terrestre. Anche i rifiuti sono stati sequestrati dalle Fiamme Gialle, assieme ai sistemi di canalizzazione presenti nell’area del porto. Questo perché si sta procedendo alla necessaria verifica, condotta attraverso l’esecuzione di prelievi di campioni, in collaborazione con i tecnici dell’Arpa Puglia, dell’impatto ambientale sui fondali marini adiacenti. Inoltre, sono in corso anche accertamenti di carattere fiscale. I militari della Finanza stanno operando insieme a unità aeree e navali.
All’esame dei magistrati ci sono i pontili del porto di Taranto. Con il rischio che fin troppe quantità di sostanze nocive siano finite in mare, nel porto mercantile. Non si tratta di pontili qualunque. Sono il secondo, terzo, quarto e quinto sporgente del porto, il che fa diventare il sequestro un fatto assolutamente clamoroso: sono i pontili utilizzati dall’ILVA di Taranto per lo sbarco delle materie prime e l’imbarco dei prodotti finiti. Il provvedimento giudiziario, si legge in comunicato reso noto dalla direzione dell’ILVA, contesta “l’assenza di un sistema per la raccolta ed il trattamento delle acque meteoriche oltre alla gestione non autorizzata di materiali di risulta presenti sui pontili. In questa fase di esclusivo accertamento dei fatti ipotizzati l’ILVA sta fornendo ampia collaborazione al personale della Guardia di Finanza per l’espletamento delle indagini di rito e per l’esecuzione del mandato di sequestro probatorio”. Infine, “l’Ilva confida, al fine di accertare l’assenza di responsabilità, in una rapida conclusione delle indagini”.
All’arrivo dei militari, la mattina del 3 novembre scorso, l’area era piena di rifiuti speciali che, a causa delle precipitazioni autunnali di questi giorni, finivano nei sistemi di canalizzazione delle acque reflue, che vanno in mare. Nonostante questo, l’unica autorizzazione mostrata dall’ILVA è stata quella per lo “scarico di acque reflue domestiche”. Come dire: acque di scolo della pasta dalle pentole ed acqua con detersivo dopo aver lavato i piatti, due tipici esempi di acque reflue domestiche. Peccato che invece si tratti di un’acciaieria, i cui scarti polverosi sono costituiti da metalli pesanti, pericolosi per inalazione e per ingestione.
Sono contestati anche altri reati, come si legge nella disposizione di sequestro probatorio con facoltà d’uso: danneggiamento e realizzazione di opere abusive, oltre ad una lunghissima serie di violazioni in materia ambientale. Secondo le accuse, l’ILVA avrebbe agito nel porto senza le necessarie autorizzazioni. Le tre persone denunciate sono il direttore dello stabilimento siderurgico, Luigi Capogrosso, il responsabile area “sbarco merci”, Giuseppe Manzulli, ed il responsabile dell’area logistica “prodotti finiti”, Antonio Colucci. A dare il via alle indagini è stato il sequestro di alcune bricche, proprio nell’area portuale, a febbraio del 2009. Da quell’operazione si sarebbe poi risaliti alla mancanza delle autorizzazioni da parte dell’ILVA.
Tutto questo va a colpire una città già disastrata dal punto di vista ambientale, in buona parte già vittima proprio dell’ILVA. Lo stesso porto di Taranto non è nuovo ad illeciti ambientali: appena poche settimane fa, cinque container carichi di rifiuti speciali (complessivamente 124 tonnellate tra pneumatici fuori uso, scarti in gomma e pezzi di plastica) diretti in Vietnam, sono stati sequestrati nel corso di controlli doganali. Esaminando la documentazione di viaggio, si è scoperta una falsa indicazione del codice identificativo della tipologia dei rifiuti e del trattamento di recupero previsto dalla legge: il carico risultava diretto in Corea, mentre l’effettiva destinazione era il Vietnam, in violazione agli accordi tra l’Unione Europea ed il Paese Asiatico.
Il tutto in una città che non detiene solo il primato nazionale per la diossina, ma anche per il mercurio. Infatti, come si rileva dall’Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti, Taranto vede una dispersione in atmosfera per la grande industria italiana del 49% del mercurio emesso in tutta l’Italia, ma il dato più grave è l’aumento continuo di mercurio, soprattutto quello che finisce nelle acque antistanti la città. Infatti il mercurio in acqua è passato dai 118 chili del 2002 ai 665 chili stimati nel il 2005. Ed anche il mercurio proviene dal grande impianto siderurgico: l’ILVA, a livello nazionale, emette il 62,5% di tutto il mercurio stimato per la grande industria.
di Alessandro Iacuelli
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