I palazzi di Punta Perotti, com’erano e dov’erano prima che saltassero in aria con la dinamite, non risorgeranno mai. Questa è l’unica cosa altamente probabile in una vicenda che gronda di colpi di scena.
Il prossimo 4 novembre il giudice Giuseppe De Benedictis dovrebbe decidere se revocare la confisca dei suoli, così come ha chiesto Berlusconi nella speranza che ciò basti a soddisfare la Corte di Strasburgo che ha giudicato «arbitraria» quella confisca, applicata nei confronti dei proprietari, autori innocenti di un reato (la lottizzazione abusiva) pur commesso ma rimasto senza colpevoli.
La procura si è sorprendentemente accodata alla richiesta, il Comune invece vi si è opposto, non avendo mai reclamato la confisca, anzi avendo «subìto» l’ingresso di quei terreni nel proprio patrimonio.
E i proprietari? Michele Matarrese (Sudfondi srl), avendo incassato la clamorosa sentenza del tribunale europeo, si mostra poco interessato alle decisioni della magistratura italiana, e aspetta la quantificazione del risarcimento per l’ingiustizia patita che sarà determinato a Strasburgo. Risarcimento per la confisca, non per l’abbattimento dei palazzi eseguito con una legge dello Stato (era in carica il governo Berlusconi).
In attesa delle risposte dei giudici (di Bari, di Roma e di Strasburgo) si fanno ipotesi e si elaborano scenari, più o meno azzardati. Cerchiamo però di stare con i piedi per terra. Come abbiamo anticipato ieri su queste pagine, Punta Perotti non risorgerà mai, almeno secondo il progetto che fu elaborato dagli architetti Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano e poi trasformatosi nel tempo, fino al «giallo» del coinvolgimento concreto di Renzo Piano (l’architetto genovese ha smentito - a suo tempo - i suoi clienti, cioè i Matarrese).
Contro la fantasiosa ipotesi della ricostruzione com’era, dov’era (si è fatto per il Petruzzelli, perché scandalizzarsi a pensarlo per Punta Perotti?) si stagliano innanzitutto i motivi che condussero alla legittima demolizione. In più, qualche recente norma che ha dato voce giuridica alla consapevolezza dell’assetto del territorio e della trasformazione sostenibile del paesaggio maturata negli anni. Ci riferiamo, in primo luogo, al Codice dei Beni culturali e del paesaggio e al Putt/p, cioè il Piano urbanistico territoriale tematico del paesaggio, al quale si è finalmente adeguato il piano regolatore generale di Bari (la variante è stata adottata dal Consiglio comunale lo scorso 9 luglio).
Già questo sarebbe sufficiente a sfoltire di molto la capacità reale di esprimere quei volumi teoricamente «promessi» oltre trent’anni fa dallo stesso piano regolatore. Ma c’è di più: nonostante gli ostacoli oggettivi o la soggettiva volontà di rallentare il passo, continuano a maturare da un lato il Piano paesaggistico regionale, dall’altro il Documento programmatico preliminare (anche questo già approvato dalla giunta comunale) al nuovo, futuro piano urbanistico generale.
Infine, a una riedizione di Punta Perotti si frappone il Piano Strategico Ba2015, che dà indicazioni anche sul futuro della costa sud. Un piano strategico correttamente inteso è uno strumento di costruzione dello sviluppo economico e sociale dell territorio metropolitano. Non un catalogo di progetti o di «sogni nel cassetto». Per questo non diamo molto peso a quell’insieme di «progetti» che pure è stato inserito nel Piano strategico. Per esempio, la Galleria di arte contemporanea, collocata proprio al centro dell’area di Punta Perotti.
Ora se i suoli dovessero essere restituiti ai proprietari, che ne sarebbe del Piano Strategico Ba2015? In teoria, i privati sarebbero chiamati a condividere quelle scelte e a partecipare alla realizzazione. Ammesso che vogliano vedervi una opportunità di sviluppo e condividere la visione prodotta dell’area metropolitana.
Ma è proprio questa sospensione ipotetica che dimostra la fragilità del piano strategico in termini di governance. Una fragilità peraltro già dimostrata da un paio di episodi recenti: il flop del museo archeologico a Santa Scolastica (con perdita dei finanziamenti dell’Area Vasta) e le polemiche sorte intorno all’ipotesi di porto turistico a piazza Diaz. L’uno e l’altro, come tutto il Piano strategico, frutto di forum, incontri, discussioni: quel che si dice «programmazione partecipata».
Ma si abusa talvolta di formule che suonano bene, le si usa spesso come un marchio di qualità, salvo poi non controllare le caratteristiche chimico-fisiche del contenuto. In un libro apparso ultimamente in Francia col titolo: L’urbanisme c’est notre affaire! (L’Atalante ed., pp. 174, euro 10), il sociologo Thierry Paquot nota: «L’urbanistica partecipata non è uno specchietto per le allodole, ma è una difficoltà. Bisogna saperlo. Si avvia faticosamente (perché esige molto tempo), senza la certezza che si mantenga e si sviluppi, destabilizza le procedure abituali (...) e spinge a riconsiderare la democrazia parlamentare, che allontana i rappresentanti dai rappresentati e conforta una “classe politica” che si crogiola nella vacuità e nella retorica».
fonte: la Gazzetta del Mezzogiorno, articolo di Nicola Signorile
1 commento:
COLPO DI SCENA Il giudice del Tribunale di Bari Giuseppe De Benedictis è stato arrestato su ordine della procura di Santa Maria Capua Vetere per detenzione di una pistola da guerra. Il gup che il martedì prossimo doveva decidere sulla questione dei suoli di Punta Perotti a Bari, dove un tempo sorgevano gli ecomostri abbattuti con la dinamite, è agli arresti domiciliari. Negli ambienti giudiziari era noto anche come collezionista di armi: in casa ha almeno 1.200 armi comuni da fuoco, qualcuno parla di 1.350 pistole.
fonte Repubblica.it
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